allegroconbiro
ascensore

Metti una mattina, per caso…

Metti una mattina di giugno, fa caldo finalmente e tu sei trafelata per le mille commissioni, le borse della spesa, bollettini da pagare, e quell’appuntamento in un grande palazzo pieno di uffici che ti ha messo di malumore appena sveglia.

Metti di incontrare un tuo ex per caso.

Metti che te lo ritrovi davanti alle porte dell’ascensore, con quella faccia da schiaffi che pensavi di avere dimenticato e una t-shirt bianca, che mette in risalto la sua abbronzatura.

Perché è abbronzato lo stronzo.

E ti saluta con un sorriso a trentasei denti da far impallidire la pasta del Capitano con tutta la nave.

Metti che quella mattina, nonostante tutto, ti senti anche piuttosto carina, e lui lo nota, e ti apre la porta dell’ascensore con fare malizioso.

Metti che siate soli, e che quel metro quadro scarso di lamiera e moquette color porpora cominci a diventare scarsissimo.

Metti che riesci persino a non fare caso all’odore stantio di sigaretta e cane bagnato, e invece ti lasci trasportare nei ricordi dal suo profumo, usa sempre lo stesso, eh già.

Che si mescola a quello dell’arbre magique della sua auto, che non sai come ti è tornato nelle narici, e ti catapulta all’improvviso in un mood nostalgico di freni a mano sotto il sedere e rivestimenti per sedili ruvidi contro la schiena.

Metti che ti ritrovi ad osservare quella t-shirt sottile e a cercare di ricordare le imperfezioni di quel corpo che conosci a memoria, un neo sulla schiena, la cicatrice di un piccolo intervento nel basso ventre, che si celava solo per pochi istanti dietro l’elastico dei boxer.

Ecco, metti che no, meglio non pensare ai suoi boxer.

Ma tant’è osservi quelle mani e quella bocca che invece conoscono il tuo, di corpo, al millimetro.

Metti che ti ritrovi a chiederti se effettivamente sia rimasto qualche centimetro di pelle ancora da esplorare.

E mentre pensi tutto questo lui rompe il ghiaccio.

Metti col più banale dei “Come stai?”

Metti che a te le parole muoiano in gola, quella gola in cui non c’è più spazio, tutto preso dal cuore che quasi ti strozza e martella a mille, rimbombando nelle orecchie, nello stomaco e anche un po’ più giù…

Metti che fai un respiro e…

…Mannaggialaputtana com’è possibile che il tempo sia galantuomo solo con voi uomini, che lo so io se mi ricordavo quant’eri bono, ma non così, così non vale, non è giusto. E poi mi hai presa alla sprovvista, e meno male che stamattina mi sono passata un po’ di rimmel sugli occhi, che poi tanto forse tu nemmeno li intravedi dietro queste lenti scure che ho indossato solo per avere più carisma e sintomatico mistero, o semplicemente perché c’è il sole, e ho le mani impegnate con le borse della spesa e ancora non sono riuscita ad appoggiarle per fare il cambio degli occhiali.

Ché io son miope lo sai, sempre stata, e anche all’epoca mica lo vedevo quant’eri stronzo, senza occhiali non vedo niente io, e a volte nemmeno con gli occhiali, che anche adesso mi sa che ti guardo attraverso i miei “rose coloured spectacles”, un filtro fatto di memoria selettiva, tempo che passa e nostalgia canaglia, ma poi, che ce ne importa? Visto che in questo minuscolo ascensore ci separano circa trenta centimetri, e un tempo io e te, da soli su un ascensore, vestiti, non saremmo nemmeno arrivati al primo piano. E allora cosa cavolo stai aspettando a strapparmi dalle mani queste borse di plastica biodegradabile che mi stanno segando le dita e ho quasi perso la sensibilità, e chissenefrega? Per fortuna mica hai una camicia da sbottonare, ma solo una t-shirt che si sfila facilmente dalla testa, e invece di chiedermi come sto, sbattimi contro la pulsantiera, cretino, facciamo suonare l’allarme, prenotiamo insieme tutti i piani di questa inutile scatoletta di metallo che ci ha rinchiuso insieme in uno spazio vitale minuscolo per i nostri sensi, spazio mortale per la mia psiche che sta partorendo tutte queste idee insulse che resteranno solo nella mia testa e infatti mi limito a risponderti…

“Tutto bene, e tu?”

“Alla grande, è stato bello vederti.”

E faccio finta di non pensare a tutto quello che cela quel tuo “è stato bello vederti”.

Plin.

Sesto piano.

Lui ti apre la porta.

I vostri corpi si sfiorano un istante.

Tu giri a destra, verso quell’ufficio che non ricordi nemmeno più perché ti aveva messa di cattivo umore.

Lui prosegue verso il settimo o l’ottavo piano, per andare da un assicuratore o un fisioterapista, chissà.

Siamo fatti di carne ed occasioni perdute.

Che ci addolciscono la quotidianità.

Leave a Reply